Predator: Hunting Grounds - Recensione

"Se può essere ferito, può essere ucciso". Pure troppo spesso.

Predator: Hunting Grounds - La recensione

LA RECENSIONE IN BREVE

  • Un gioco dal multiplayer asimmetrico simile a quello di Venerdì 13 uscito qualche anno fa. Non è un caso: il team di sviluppo è lo stesso.
  • I soldati sono quasi sempre in una posizione di vantaggio rispetto dal cacciatore, soprattutto se riescono a coordinarsi un attimo come dovrebbero. Più in generale, la struttura si presta ad esser forzata in vari modi per vincere la partita.
  • Livello realizzativo neanche lontanamente paragonabile a un gioco di alto profilo. IA, grafica e contenuti da titolo economico, per un gioco che comunque costa 40 euro.

Ci sono dei momenti in cui la cosa sembra funzionare. Brevi, ok, molto brevi, ma in quegli istanti Predator: Hunting Grounds sembra parlare la stessa lingua di chi il film di John McTiernan del 1987 l'ha visto duecento volte, e ancora ghigna alle battute sborone di Schwarzenegger, Carl Weathers, Ventura e gli altri. Quando prima di iniziare una nuova partita senti quella musica da grande fomento, ti ritrovi in un elicottero dalle luci rosse (non a caso terreno di chiacchierate su dinosauri superdotati) che ti scarica nella giungla, dai la caccia al predatore. O viceversa.

Sviluppato dai ragazzotti del Colorado di IllFonic, lo stesso team che nel 2017 aveva sfornato Friday the 13th: The Game, Predator: Hunting Grounds ne condivide la struttura da gameplay asimmetrico. Una squadra di quattro giocatori guida i membri del fireteam, un commando di militari chiamati a completare una missione, un altro giocatore assume il controllo del Predator. Ovviamente, per giocare con il cacciatore yautja occorre aspettare un bel po' di più (in media il quadruplo): il matchmaking per i soldati è molto più veloce. Ma i tempi di attesa si sono ridotti notevolmente negli ultimi giorni. D'altronde, tutti vorrebbero giocare nei panni dell'alieno rasta con le armi superfighe, la vista termica e tutto il resto, no? Perché è comunque più forte, no? No.

"Prepariamoci a uccidere senza far male"

Il fatto è che il Predator, in un gioco che ne porta il nome e in cui dovrebbe rappresentare il supervillanzone spauracchio potente in grado di far tremare i polsi dei suoi antagonisti umani, è decisamente sottopotenziato. E se non lo utilizzi nel modo giusto, finisce crivellato di colpi in metà del tempo necessaria a dire "ciao, ciao belle treccine". La missione del fireteam consiste nel completare una serie di obiettivi in sequenza e risalire sull'elicottero prima che il cacciatore li abbia stesi tutti. Basta cioè che uno solo dei soldati riesca a prendere il volo di ritorno per vincere la partita.

Il loro compito dovrebbe esser reso più complicato dai nemici mossi dalla CPU che presidiano le varie aree in cui si snoda la missione, ma la loro intelligenza artificiale è prossima a quella dei tifosi sullo sfondo di un match di Street Fighter II. Alzano le manine a tempo e poco altro. Il Predator, invece, deve innanzitutto trovare i suoi avversari, visto che non può contare come loro su dei pratici waypoint a schermo. È aiutato dalla vista a infrarossi, dalla possibilità di ascoltare quello che si dicono se a distanza sufficiente (bel tocco), dall'invisibilità e da, uh, un macchinosissimo sistema di passeggiate sui rami degli alberi. Così fico ché dopo cinque tre minuti sei tentato di scender giù e fartela a piedi in mezzo ai cespugli.

"Non ho tempo di sanguinare"

Il punto è che al di là della ripetitività delle missioni, le cose per i soldati sono spesso molto semplici. Quando una squadra è composta interamente da esseri umani e non da bot (meglio ancora se da amici in una partita privata), è semplice organizzarsi, fregarsene degli obiettivi e dei soldati pupazzi dell'IA e crivellare di colpi il Predator appena si manifesta. E se scappa, seguirne la scia di sangue verde fluo e finirlo. Anche in questo caso, basta infatti per vincere la partita.

Chi gioca nei panni del cacciatore, pertanto, dovrà adottare necessariamente delle tattiche di guerriglia, colpendo dalla distanza con il suo cannoncino da spalla e fuggendo, provando ad eliminare gli avversari uno alla volta. Se lo stendono, parte un meccanismo di autodistruzione nella sua corazza. La bomba è disattivabile dai soldati, anche se in realtà basta stare lontani dal raggio dell'esplosione e aspettare il botto. E again, vittoria, ciao. Allo stesso modo, anche per il Predator c'è la tentazione di fregarsene della struttura e sostanzialmente di tutto, giocandola facile: basta capire dov'è il punto di estrazione e aspettare lì i quattro porcellini, bombardandoli dalla distanza prima che si aggancino ai moschettoni calati dall'elicottero. Peggio ancora, in alcune partite finite in preda(tor) al caos vince chi si ritrova casualmente nella condizione giusta. Lontano dall'esplosione, sull'elicottero, distratto dal tiro al bersaglio ai soldatini (riempiti) di piombo armati di deficienza artificiale.

"Laggiù c'è qualcosa in agguato... e non è un uomo"

I momenti belli di cui sopra sono annacquati non solo da una struttura di gioco tutt'altro che solida, ma anche da una grafica non all'altezza della concorrenza, da un feeling delle armi ridotto, da una sensazione generale di titolo a basso budget. Che costa in effetti la metà di tanti giochi a prezzo pieno (39 euro sia in versione PS4 che PC), ma offre anche un decimo dei contenuti dell'ultimo Call of Duty e di tanti altri sparatutto: niente campagna offline, una serie di missioni online che stancano presto. Sì, salire di livello e personalizzare tanto il proprio soldato quanto il proprio amico (?) extraterrestre, customizzandone aspetto, armi e accessori può dare un incentivo a continuare, per tempestare di pitture tribali i vari tipi di mascheroni dell'alieno o imbracciare fucili più potenti, sfruttando altre classi di soldati e nuovo equipaggiamento.

Ma dopo l'ennesimo "armadietto da campo" aperto, ottenendone solo skin colorate tutte uguali e cappellini simpatia per avatar col carisma di un kiwi - peraltro spesso mostrati in versione manichino nelle schermate pre-partita, per via di un suggestivo bug ancora non risolto - ti sei chiesto quanto appeal effettivo avesse il tutto. E la risposta è stata "pochino". Bei momenti, ma più dettati dall'amore per il primo film che da meriti del gioco in sé. Perché se niente di questa Terra resiste a 20 caricatori dell'M60, tu vai giù molto prima con un multiplayer che non ti convince.

Verdetto

Vedere il Predator messo sotto così spesso non è bello. Capire che gli altri giocatori puntano al modo più facile per vincere, fregandosene di tutto il contesto allestito attorno a loro, anche meno. Giocato con gli amici e con un Predator capace di fare il suo, riesce anche a divertire sul breve periodo. Ma se ti ritrovi in compagnia di bot e di un cacciatore sbrigativo che si fa ammazzare troppo presto, beh, buona fortuna.

In questo articolo

Predator: Hunting Grounds

Illfonic | 24 Aprile 2020
  • Piattaforma
  • PS4
  • PS5
  • XboxSeries
  • PC

Predator: Hunting Grounds - La recensione

5.8
Mediocre
Pochi contenuti e di livello non competitivo rispetto alla concorrenza. Diversi problemi strutturali, oltre che tecnici. Diverte solo nel breve periodo, e solo con la compagnia giusta.
Predator: Hunting Grounds
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